A inizio ‘900 Trieste era una città cosmopolita e affollata. Era il più grande porto dell’impero, e perciò era al centro dell’Europa ancor prima che l’Europa esistesse. Per questo ancora oggi è la più europea delle città italiane. Già all’epoca risultava evidente che la città prosperava nella misura in cui era in collegamento con il mondo.
È innegabile che ci sia un legame tra questo passato e le prospettive che recentemente si sono aperte per la città. Per l’economia, con particolare riguardo a porto, logistica, ed ora alla tanto discussa via della seta, si sta aprendo una panoramica nuova, che vede Trieste nuovamente europea e globale.
È evidente che si prospettino opportunità straordinarie, ma è altrettanto evidente che che ci siano anche problemi da conoscere e saper gestire. Aggiungiamo anche che è in un momento come questo è giusto interrogarsi su come la città si debba preparare a questa nuova prospettiva. Di cosa ha bisogno Trieste per tornare a essere veramente internazionale? Quali servizi, quali infrastrutture, quale cultura per questo cambiamento?
Non si presenta un percorso semplice: in una città dai tanti paradossi, forse quello più significativo è di alternare momenti di grande innovazione a momenti di resistenza al cambiamento.
La storia ci insegna però che affinché Trieste abbia un ruolo, inverta il declino demografico, sia attrattiva per i giovani… debba scegliere convintamente di riappropriarsi della posizione centrale e del ruolo di snodo di traffici, popoli, idee e culture che le appartiene.
Di questo hanno discusso il Presidente dell’Autorità Portuale Zeno D’Agostino, l’ex Direttore generale di Generali China Renzo Isler e il Consigliere Regionale Roberto Cosolini.
A moderare il dibattito Francesco De Filippo, direttore di Ansa FVG e autore del recente libro “La nuova via della seta. Voci italiane sul progetto globale cinese”.